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Le parole «spezzate per amore»
nell’ affettuoso ultimo saluto a Canteri

Sulla bara in legno chiaro  le rose che simboleggiano l’affetto dei familiari:   tre rosse, una bianca e sei gialle  FOTO PECORA
Sulla bara in legno chiaro le rose che simboleggiano l’affetto dei familiari: tre rosse, una bianca e sei gialle FOTO PECORA
Sulla bara in legno chiaro  le rose che simboleggiano l’affetto dei familiari:   tre rosse, una bianca e sei gialle  FOTO PECORA
Sulla bara in legno chiaro le rose che simboleggiano l’affetto dei familiari: tre rosse, una bianca e sei gialle FOTO PECORA

Un saluto partecipato, laico e affettuoso ha accompagnato ieri l’addio al giornalista, scrittore e storico Raffaello Canteri, in due momenti: alle celle mortuarie dell’ospedale di Borgo Trento e nella sala commiato del cimitero monumentale, dove la salma è stata trasferita per la cremazione.

Dopo aver combattuto per un anno contro un tumore ai polmoni, ha ceduto a 69 anni anche la sua forte fibra di cimbro che «ogni giorno spezzava il pane di cui era un gran divoratore», ha ricordato la moglie Marisa Piccolboni, «e ogni giorno che si alzava da tavola e si sedeva alla scrivania amava ripetere di spezzare le parole come spezzava il pane, e cioè per amore».

Non avrebbe voluto cerimonie né commiati particolari: alla moglie aveva confidato di ripetere a tutti di leggere i suoi libri e assistere ai suoi spettacoli: «Questa è la partecipazione che voglio».

Per esaudire questo suo ultimo desiderio, Teatro Impiria, che ha messo in scena i suoi lavori più conosciuti, allestirà il suo testamento, la sceneggiatura teatrale di Gissa Màissa il 15 aprile alle 21 al teatro Vittoria di Bosco Chiesanuova. Di lì proveniva sua madre, Maria Squaranti, mentre il padre Serafino era di Roverè, di quei Canteri che avevano tenuto in funzione l’ultimo mulino di Cantero.

Attorno alla farina e al pane, alle fatiche della vita e alle pene dell’emigrazione, sono ruotati gli interessi di Raffaello degli ultimi vent’anni, nei quali ha voluto capire e ricostruire la vita, il passato, il presente e il futuro della Lessinia e dei suoi abitanti.

Sulla bara di legno chiaro c’erano tre rose rosse, simbolo della moglie Marisa, del figlio Daniele e della nuora Claudia, c’era la rosa bianca del nipotino di cinque mesi Luigi e poi le sei rose gialle dei fratelli di Raffaello.

Lo ha ricordato lo storico Marco Pasa, che seppur con pochi anni di differenza d’età è stato alunno di Raffaello Canteri al liceo Maffei: «Di lui ho ammirato la forza del dialogo, la volontà, la capacità critica che mi ha trasmesso da amico, più che da maestro ad allievo. Gli devo molto e mi sento parte della sua famiglia».

«È stato un uomo che ci ha dato uno sguardo lungo e intelligente, oltre che sensibile, e lo ringrazio a nome di tutta l’associazione Curatorium Cimbricum Veronense che presiedo», ha detto Vito Massalongo, «e dopo il suo Autunno dei cimbri», ha aggiunto parafrasando il titolo di un libro di Canteri, «siamo certi di trovarlo in una nuova primavera».

Andrea Castelletti, il regista del Teatro Impiria che ha messo in scena tutte le sceneggiature dei suoi libri, ha rivelato che da Canteri ha imparato soprattutto la bellezza, raccontata attraverso l’epopea dei cimbri, «ma prima ancora in storie mitiche che sapeva ricavare da storie vere», come Casa di ciottoli o Malaspina, signori di Castel d’Azzano, Un ponte per Luca finalista del Premio Viareggio.

Mentre Stefano Bersan accompagnava con le musiche dello spettacolo Il ponte sugli oceani, Walter Peraro, che in quella sceneggiatura era l’unica voce narrante, ne ha letto il passo conclusivo: «Il problema è capirci, riconoscerci, sognare insieme. Scoprire la bellezza infinita dei toni dissonanti che compongono la musica delle anime del mondo. Quando sentiremo questa musica, solo allora avremo varcato la porta di Dio». V.Z.

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